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Segre e Peano a confronto: due modi di concepire la ricerca e l'insegnamento

a cura di L. Giacardi

La polemica sulla Rivista

I diversi punti di vista sul problema del metodo di lavoro nella ricerca scientifica, sul rapporto fra rigore e intuizione e, ancora, sul modo migliore di avviare i giovani alla ricerca, sono all'origine dello scontro fra Segre e l'altra figura di grande rilievo del mondo scientifico torinese del tempo, Giuseppe Peano (1858-1932), creatore della scuola di logica matematica. Scontro che ha come cornice la "Rivista di matematica", prima, e, poi, la stessa Facoltà di Scienze dell'Ateneo torinese.

Giuseppe Peano

Nel 1891 (Segre 1891a) compariva sulla Rivista di matematica, diretta da Peano, il lungo articolo di dal titolo Su alcuni indirizzi nelle investigazioni geometriche. Osservazioni dirette ai miei studenti, in cui Segre, aderendo all’invito del direttore, esponeva alcune considerazioni circa il suo modo di concepire la ricerca scientifica e offriva consigli ai giovani desiderosi di intraprendere la strada della ricerca, con dovizia di esempi e di citazioni. Troppo diverse erano le posizioni dei due matematici, sostenitore del rigore l’uno, partigiano dell’intuizione l’altro; non stupisce quindi che ne sia nata una polemica.

In apertura del suo articolo Segre invita i giovani a occuparsi solo di problemi "importanti" e insegna a distinguere le questioni rilevanti da quelle sterili e inutili:

"In generale - egli scrive - si può dire che sono importanti tutte le ricerche relative ad enti che abbiano essi stessi importanza; quelle che hanno un gran carattere di generalità, o che riuniscano molte cose apparentemente distinte sotto un sol punto di vista, semplificando od illuminando; quelle che conducono a risultati da cui si prevede che scaturiranno numerose conseguenze; ecc., ecc.
Lo studio dei grandi scienziati è forse il miglior suggerimento che si possa dare al giovane che vuol imparare a giudicare l’importanza degli argomenti...
In tali studi si deve tener presente questo altro criterio: di allargare quanto si può la propria coltura. Chi non si occupa di altri lavori che di quelli relativi al campicello che egli coltiva finisce col dare troppo peso a questioni che non montano affatto a chi, avendo maggiori cognizioni, considera le cose più dall’alto."
(pp. 44-45)

Traendo spunto da quanto scriveva J. Fourier che "L’étude approfondie de la nature est la source la plus féconde des découvertes mathématiques", Segre invita i giovani a studiare, accanto alla teoria, le sue applicazioni e mostra successivamente, con vari esempi, l’importanza di coltivare insieme lo studio dell’analisi e della geometria. E poiché, "alla scienza quel che più importa sono i risultati", il giovane ricercatore non deve essere "schiavo del metodo":

"Spesso converrà alternare fra loro il metodo sintetico che appare più penetrante, più luminoso, e quello analitico che in molti casi è più potente, più generale, o più rigoroso." (p. 52).

A questo punto Segre inserisce quelle considerazioni sul rigore che stanno all’origine della polemica con Peano:

"Allo stesso modo come, allorquando si tratta solo di scoprire una verità, la purezza del metodo passa in seconda linea, così accade spesso che in una prima ricerca si debba sacrificare (sacrifizio molto più grave, trattandosi di matematica!) il rigore ... Così è avvenuto frequentemente che il primo modo di giungere ad una verità non sia stato pienamente soddisfacente, e che solo dopo la scienza sia riuscita a completarne la dimostrazione ... Ma non rigetterà senz'altro quei procedimenti incompleti nelle ricerche difficili in cui non possa sostituirli meglio: poiché la storia della scienza lo ammaestra appunto sull’utilità che tali metodi hanno sempre avuto." (p. 53).

Infine, dopo aver illustrato con molti esempi l'estensione prodotta nella geometria moderna dall'uso delle trasformazioni e dalla considerazione di classi sempre più vaste di enti, Segre introduce alcune riflessioni sulla geometria a n dimensioni distinguendo tre punti di vista sugli iperspazi: quello puramente analitico, quello di J. Plücker e infine quello geometrico e intuitivo di G. Veronese dove " i punti geometrici dell'iperspazio sono i punti tali quali ce li immaginiamo nello spazio ordinario, e non più enti puramente analitici, od enti di qualunque natura." (pp. 60-61). Ciascuno di questi approcci, osserva Segre, ha pregi e difetti, ma per il matematico "non ha una vera importanza" quali fra essi scelga, anzi, può prenderli tutti in considerazione al fine di "avere maggior quantità di rappresentazioni e d'interpretazioni dei risultati"(p. 61).

LETTERA A JUNG

All'articolo di Segre seguiva immediata la replica di Peano il quale affermava categoricamente che la mancanza di rigore non è in alcun modo scusabile e che non si può considerare come acquisito un risultato finché non è rigorosamente provato e aggiungeva che:

"chi enuncia delle conseguenze che non sono contenute nelle premesse, potrà fare della poesia, ma non della matematica. Il rigore assoluto, se è condizione necessaria affinché un lavoro sia scientifico, non è ancora condizione sufficiente. Un'altra condizione sta nelle ipotesi da cui si parte. Se un autore parte da ipotesi contrarie all'esperienza, o da ipotesi non verificabili coll'esperienza, né esse, né le loro conseguenze, potrà, è vero, dedurre una qualche teoria meravigliosa, da far esclamare: quale vantaggio, se l'autore avesse applicato il suo ragionamento ad ipotesi pratiche!" (Peano G., Osservazioni del Direttore sull'articolo precedente, Rivista di matematica, 1, 1891, pp. 66-69, citaz. p.67).

Le critiche di Peano erano infatti indirizzate soprattutto alla teoria degli iperspazi trattata con i metodi "geometrici", come risulta evidente anche dalla sua vivace polemica con Veronese (cfr. Palladino 1985 , pp. 244-250). La sua esigenza di rigore era certamente motivata, ma è vero che i più brillanti risultati nella geometria algebrica erano ottenuti proprio applicando agli iperspazi i metodi della geometria proiettiva. Alle Osservazioni di Peano fa seguito ancora una Dichiarazione di Segre che ribadisce il suo punto di vista:

"Io invece credevo ... che in tutti i rami della matematica ... il periodo di scoperta avesse nella maggior parte dei casi preceduto quello del rigore ... e che tutta una moltitudine di cognizioni a cui così si era giunti per vie non perfettamente rigorose non solo avessero fatto avanzare di qualche passo la matematica, ma avessero anzi costituito una gran parte dei materiali con cui essa s'è fatta, e sui quali poi si è proceduto, e finora solo in una parte di essa, al lavoro critico atto a renderla assolutamente rigorosa." (p. 155).

Fu comunque Peano ad avere l'ultima parola nella sua Risposta dove ribadiva che "un teorema in matematica è scoperto quando è dimostrato" (p. 158), tanto che Segre, scrivendo all'amico Castelnuovo osservava:

"A me pare che in questo modo, d'insolenze continue, non si possa andare avanti...Ma l'amico è contentone di aver avuto una nuova occasione d'insolentire; e mi diceva ieri fregandosi le mani che la prima cosa che i lettori vanno a cercare nella Rivista è la polemica..." (C. Segre a G. Castelnuovo, Torino 21.12.1891, cfr. Gario, Palleschi 1998).

Mentre Peano rimase arroccato sulle sue posizioni di intransigenza che lo portarono a polemizzare, oltre che con Segre e Veronese, anche con V. Volterra, Segre dimostrò in occasioni successive un atteggiamento conciliante fra le opposte istanze come appare, per esempio, dal suo intervento al terzo congresso internazionale dei matematici di Heidelberg (1904) in cui affermava:

"Ma si può anche dire che l'ampliarsi della Geometria ha fatto passare l'intuizione spaziale, che una volta era per essa un elemento indispensabile, in seconda linea ... Così l'intuizione spaziale ha cessato di essere necessaria ... In generale si può dire che i geometri aspirano oggidì al rigore quanto gli analisti! ... Ma si deve tener presente che alla Geometria, forse più che all'Analisi, occorre lasciar libera anzitutto la fantasia che guida alla scoperta: mentre è opera posteriore lo stabilire il tutto in modo rigoroso!" (Segre 1905, p. 112).

Del resto, come rileva Beniamino Segre, (Segre B. 1961, pp.VIII-IX) l'esigenza di rigore era tutt'altro che estranea a Segre che, anzi, nelle sue lezioni si dimostrava sempre attento a segnalare agli studenti gli errori cui l'uso incauto di principi non dimostrati può condurre (cfr. per esempio Quaderno 13, pp. 50-55. Non è un caso, inoltre che abbia spinto Pieri a tradurre la Geometrie der Lage di Staudt (Segre 1889b), opera modello di rigore e che abbia indotto Fano ad affrontare il problema di determinare un sistema di postulati indipendenti che serva a caratterizzare lo spazio lineare a n dimensioni tale che se ne possa dedurre la rappresentazione dei suoi punti mediante coordinate (G. Fano, Sui postulati fondamentali della geometria proiettiva in uno spazio lineare a un numero qualunque di dimensioni, Giorn. di Matem., 30, (1892), pp. 106-132). La trattazione di Fano è ancora lontana dai livelli del rigore peaniano, ma costituisce un passo avanti rispetto alle precedenti ricerche. Segre, inoltre, si dimostrò durante tutta la sua carriera di insegnante, attento agli sviluppi dell'algebra astratta nella convinzione dell'importanza del ricorso alle tecniche algebriche per ampliare e per rendere più rigorose le ricerche geometriche (cfr. Quaderni 11, 20, 25, 33). Conseguenza questa anche di quella concezione fortemente unitaria delle matematiche che lo induceva ad invitare continuamente i giovani ad uscire dai confini limitati di una disciplina. La verità è che i due punti di vista, di Segre e di Peano, che avrebbero potuto essere complementari, rimangono nettamente separati da questa polemica: da un lato Peano "che ha ormai elaborato una perfetta capacità di esprimere in un linguaggio adeguato e con estrema sintesi teorie assiomatiche moderne, ma che però fa di tali teorie un uso limitatissimo, piuttosto atto a "surgelare" in modo profondo ed elegante le teorie classiche che a produrre nuovi indirizzi, dall'altra Segre che ha perfettamente intuito l'uso creativo che dell'astrazione assiomatica si può fare per lanciarsi in nuovi campi di ricerca più o meno inesplorati [...], ma che ha una visione del tutto inadeguata del linguaggio e delle tecniche necessarie per un'enunciazione rigorosa e completa di una teoria assiomatica" (M. Avellone, A. Brigaglia, C. Zappulla, I fondamenti della geometria proiettiva in Italia da De Paolis a Pieri, Università di Palermo, Palermo 1998, Preprint n. 73, p. 17).

Lo scontro in Facoltà

La polemica sulla Rivista di matematica non fu l'unica occasione di scontro con Peano. Nel 1910 Segre, che ricopriva allora la carica di preside della Facoltà di Scienze, affrontò in seduta di facoltà il problema dell'insegnamento dell'Analisi superiore che era impartito da Peano dal 1908 con modalità che non rispettavano quello che, a suo avviso, era lo scopo precipuo di un corso superiore, quello cioè di avviare i giovani alla ricerca mettendo a loro disposizione strumenti e metodi e fornendo stimoli:

"Il prof. Peano - afferma Segre - è universalmente apprezzato per l'acume critico con cui ha trattato le questioni relative ai fondamenti delle matematiche elementari e del calcolo infinitesimale. Egli è pure universalmente conosciuto, anche fuori del dominio delle matematiche, per il linguaggio simbolico, da lui ampiamente sviluppato, che vien chiamato logica matematica, e che ha certo contribuito molto a chiarire le idee su ciò che sono le basi della logica e della matematica. Ora i due corsi di analisi superiore svolti dal prof. Peano in questi anni peccano, secondo il mio modo di vedere, per ragioni che si spiegano perfettamente con ciò che ho premesso. Essi hanno un carattere frammentario, saltuario, svolgono cioè nelle varie lezioni (tranne eccezioni non rilevanti) argomenti staccati, che sembran scelti a caso, senza che mai, o quasi mai, sia approfondita qualcuna di quelle teorie che comunemente si designano col nome di analisi superiore ... Il Formulario è il principale testo per gli studenti di analisi superiore della nostra Facoltà. Ora ciò non corrisponde a ciò che, secondo me, deve essere un tale corso. Non così i giovani di valore possono essere indirizzati a fare ricerche elevate nell'analisi superiore. Così non impareranno altro, se non l'indirizzo critico in cui il prof. Peano è maestro". (ASUT, Verbale delle Adunanze del 17.3.1910, VII 83).

In una lettera a Castelnuovo di alcuni anni prima Segre affermava lo stesso punto di vista anche

"Io sono pienamente del tuo avviso sul criterio principale dell’insegnante: quello di farsi capire dagli uditori. Col passare degli anni me ne sono sempre più persuaso e su questo criterio mi guido, anche avendo un Fano fra i miei studenti. E trattandosi poi di allievi ingegneri hai anche ragione a non volerli obbligare a studiare tante cose che non sono di prima necessità. Se un giorno io ritornassi a insegnare nel 1˚ biennio limiterei di molto il mio programma obbligatorio; ma (e qui sta la differenza con quanto fa Peano) farei pure varie lezioni complementari, facoltative, specialmente per gli studenti di matematica pura". (C. Segre a G. Castelnuovo, 8.7.1891, Gario, Palleschi 1998)

Naturalmente Peano difese il suo punto di vista:

"Il Prof. Peano risponde che, da quando gli fu affidato l'insegnamento dell'analisi superiore, egli lo ha sempre impartito con diligenza, e nel modo che, a suo giudizio, è più opportuno. Dichiara di aver trattato, a volte, anche di ricerche recentissime, promovendo da parte dei giovani lavori originali, taluno dei quali poté essere pubblicato o è in corso di pubblicazione. Ha avuto anche speciale riguardo a tutto ciò che ai giovani può riuscire utile per l'insegnamento che saranno chiamati ad impartire nelle scuole medie. Insiste soprattutto sulla sua convinzione che il rigore è primo, imprescindibile attributo di ogni ricerca matematica, e sono perciò da preferire quei metodi e quegli strumenti che meglio consentono di garantirsi contro la possibilità di venirvi meno." (ASUT, Verbale delle Adunanze del 17.3.1910, VII 83).

IL VERBALE

Analoga alla posizione di Segre era quella di D'Ovidio che osservava che "la preparazione dei giovani all'insegnamento nelle scuole medie è particolare ufficio delle Conferenze di Magistero, mentre nei corsi di Matematica superiore occorre spingere i giovani allo studio di teorie nuove e alla ricerca originale". Dello stesso avviso era anche Somigliana che riteneva che ogni anno si dovesse scegliere una di queste teorie e presentarne una trattazione organica e il più possibile completa. Fano, ricordando l'insegnamento che Peano impartiva quando egli era studente, "nel quale il lato critico era contenuto in più modeste e giuste proporzioni", si rammaricava dei cambiamenti sopravvenuti. L'incarico per l'anno seguente fu dato a Guido Fubini. Fu proprio l'opposizione del cosiddetto "gruppo ebraico", conservatore, capeggiato da Segre, e di cui facevano parte Fano e Fubini, uno dei fattori all'origine dell'emarginazione di Peano nell'ambiente accademico torinese. Emarginazione che diverrà ancora più evidente quando nel 1925 approderà a Torino Francesco Tricomi che aderirà "toto corde" al gruppo e, in quello stesso anno, scambierà con Peano il compito didattico tenendo per sé il corso di Calcolo infinitesimale e lasciandogli quello di Matematiche complementari (Cfr. F. Tricomi, La mia vita di matematico attraverso la cronistoria dei miei lavori, Cedam, Padova 1967, p. 18), capeggiato da Segre, finché visse, e di cui facevano parte Fano e Fubini e cui aderì "toto corde" anche Francesco Tricomi quando giunse a Torino nel 1925.
A spingere Segre verso quel provvedimento fu però innanzitutto il suo modo di concepire il magistero che guida e ispira tutta

"Ma sai già perché ... io voglio limitarmi ad un corso solo: ... per potermi dedicare a quell’unico corso con quella intensità, con quello zelo che occorrono negl’insegnamenti superiori perché riescano efficaci". (C. Segre a V. Volterra, Torino, 4.11.1897, Archivio Volterra),

D'altro canto il suo modo elevato e aperto di intendere la "scuola" si basa sulla persuasione che gli allievi non debbano limitarsi a calcare la strada aperta dal maestro, ma vadano stimolati verso nuove vie:

"Ad avere più giovani da far lavorare c’è l’inconveniente che non si ha più il tempo di lavorare noi! Ma si finisce per considerare l’opera dei nostri figlioli come nostra propria opera" (C. Segre a M. Pieri, Torino 20.11.1901, Arrighi 1997, p. 115),